Trasparenza della filiera produttiva #1:
il passo mancante verso una moda più sostenibile

Di Guya Manzoni

Trasparenza”, dal latino “trans + inspicio” che vuol dire “guardare attraverso, guardare dentro”.

La trasparenza è, letteralmente, la caratteristica che permette di poter vedere attraverso le cose.
La moda non è una “cosa” evidentemente, ma un complesso sistema economico e commerciale: cosa vuol dire, quindi, chiedere alla moda di essere trasparente?

Quando si applica questo termine ad un sistema organizzativo, si intende, in un certo senso, il contrario di privacy: certe informazioni, alcune parti del sistema, devono essere svelate, occorre poterci “guardare attraverso”.

Un esempio per cogliere meglio il punto può essere quello delle Pubbliche Amministrazioni: vengono definite trasparenti perché chi è incaricato di gestire “la cosa pubblica” è legalmente obbligato a rendere accessibili le informazioni in merito a come viene realizzata la gestione, e a come il denaro dei contribuenti viene speso.
In questo caso specifico, con la trasparenza si evitano (o si vorrebbero evitare) malfunzionamenti o distorsioni del sistema stesso: corruzione, clientelismo, appalti truccati…

Dover dire pubblicamente come si esercita la propria funzione obbliga, insomma, a fare le cose bene: ad agire in maniera pulita, etica e rispettosa delle regole.
Questo concetto, trasportato nell’industria della moda, vuole rendere pubbliche le informazioni sui vari passaggi della filiera produttiva, sulle pratiche commerciali e sull’impatto che queste ultime hanno sui lavoratori, sulle comunità e sull’ambiente.

Un altro concetto importante, e legato a stretto giro a quello della trasparenza, è quello di tracciabilità.
Anche qui, ci aiuta l’etimologia: tracciare significa poter seguire la traccia, in questo caso l’intero percorso di un prodotto.

Se la trasparenza risiede nella volontà dei brand di divulgare queste informazioni, la tracciabilità ci parla invece della raccolta delle informazioni stesse, che raccontano la storia del nostro prodotto: dalla materia prima fino al nostro armadio.

Quando a cucire i vestiti delle nostre nonne c’era il sarto sotto casa, la tracciabilità era un concetto molto semplice: si conosceva nome e cognome di chi aveva cucito il nostro vestito, si sapeva dove veniva prodotto e con quali materiali (che spesso erano le nostre nonne a fornire direttamente).
Ora, in un mondo estremamente globalizzato, all’interno del quale le merci percorrono chilometri prima di approdare alle vetrine di un negozio, passando fra i vari anelli di una catena produttiva estremamente complessa, ecco che la gestione e la reperibilità di tutte queste informazioni diventa difficile e onerosa.

La produzione viene terziarizzata (ovvero si incarica un produttore terzo di realizzarla) e delocalizzata (ovvero realizzata non localmente, tendenzialmente nei paesi più poveri); in poche parole, lo fa qualcun altro, e lo fa lontano: questo comporta che i brand perdano la capacità di verificare e controllare che vengano rispettati i più banali standard sulle condizioni di lavoro, sulla sicurezza, sulla qualità della vita dei lavoratori, sull’impatto ambientale delle produzioni, su come vengono smaltiti i rifiuti…
E la verità (e il vero problema) è che nella maggior parte dei casi, ai brand di questi temi non interessa: il fatto che il capo arrivi, pronto per la vendita, nei giusti e folli tempi del mercato, diventa l’unica cosa importante. E che costi poco. Il meno possibile… Anche a discapito del futuro del pianeta e del benessere delle persone.

Esigere dai brand tracciabilità e trasparenza significa chiedere loro di (o obbligarli a) invertire le proprie priorità: anziché lasciarsi “guidare dalla mano invisibile del mercato”, per vendere di più al prezzo più basso, devono mettere da parte il profitto e portare in primo piano il rispetto, la dignità, la cura delle persone e dell’ambiente.
Certo, non lo fanno di loro spontanea volontà… Stiamo parlando infatti di profitti astronomici: Inditex (proprietario del marchio Zara, ma anche Bershka, Oysho e Pull&Bear) nel 2021 ha fatturato 28,3 miliardi di dollari, H&M 22,3 miliardi, Fast Retailing, che detiene il brand Uniqlo, 18,8 miliardi.

Ecco che allora la tracciabilità (la conoscenza del percorso) e la trasparenza (la diffusione delle informazioni) diventano concetti chiave, strumenti nelle mani dei consumatori: ci permettono di guardare a ritroso nella catena produttiva, partendo dal prezzo X che stiamo pagando per un capo di abbigliamento per poi porre (e porci) la fatidica domanda: come fa questa maglietta a costare SOLO 6 euro?!

Perché la mano invisibile del mercato la muoviamo un po’ anche noi consumatori: coi nostri valori, con la nostra consapevolezza, con le nostre azioni.

Se ti interessa approfondire, trovi la seconda parte di questo articolo qui!

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